ENRICO DENNJ PERETTO

Arte e artisti dal 1958

Enrico Dennj Peretto, pittore cremonese allievo di Sergio Tarquinio e Antonio Lipara, si avvicina al mondo dell’arte anche grazie alla frequentazione di un gruppo di noti artisti attivi nell’area cremonese. Il suo ufficiale ingresso nel mondo dell’arte come espositore avviene nel 1971 con al prima personale realizzata presso la Galleria Portici di Cremona. Un lungo silenzio obbligato lo porta a fermare la sua produzione pittorica ma non il suo pensiero artistico che ritornerà a concretizzarsi in forme e colori negli ultimi anni del secolo scorso. La sua carriera è segnata da diversi riconoscimenti, segnalazioni e premi anche di importanza nazionale. Da molti anni è legato all’Associazione Artisti Cremonesi di cui è membro del Consiglio direttivo dal settembre 2018.

Enrico Dennj Peretto è uomo del suo tempo, come accade talora ad alcuni e schietti artisti vi è immerso come un pesce nell’acqua. Come loro, quando l’acqua si fa torbida, cerca una luce, una traccia, un segno qualunque per tornare in superficie, un appiglio per respirare meglio.

Così ha progettato il ciclo di dipinti in undici scene che costituisce la sua ultima riflessione civile: Amen è lo sconsolato saluto che l’artista indirizza all’Italia, paese ferito e lacerato nel corpo e nello spirito, patria senza speranze e carica di dolori…

Ispirata ai simboli del suo Maestro Sereno Cordani, la figura ludica si tramuta in forte simbolo negativo, addita la drammaticità dei diversi ambienti in cui viene collocata come un desolato e insistente grido di denuncia, di allarme, di disperazione. Spezzata dal lavoro nero, martoriata dalla violenza, deprivata di dignità come di abiti, la veste stracciata che appena copre la nuda realtà: così l’Italia di oggi diviene protagonista di un racconto-denuncia nel limpido ed efficace linguaggio figurativo dell’artista. Avvolta nella bandiera o in ciò che ne sopravvive, non madre, non regina, non più opima signora di messi e ricchezze, l’Italia repubblicana, nata come l’autore nello stesso anno, sembra trascinarsi con fatica lungo un Calvario senza fine e, come un “poverissimo cristo” (…) ne ha in sorte un uguale destino: crocifissa dai tradimenti, dalle speranze deluse, dalle utopie mancate, dal lucro senza freni, dalla lacerante insicurezza sociale. A quest’Italia, che certo non è quella dei sogni giovanili degli anni Settanta né quella dell’economia rampante dei precedenti Sessanta e nemmeno la prodiga protagonista dei successivi Ottanta, Peretto guarda con malinconia, con tutto il rammarico di chi “ci ha creduto” in quell’Italia della rinascita del dopoguerra e la racconta con una sorta di graffiante pietà che la scrittura limpida, elegantemente grafica, esaltata dalla stesura piena del colore ad acrilico sottolinea con rara efficacia e perizia, immergendo l’immagine entro una luce ferma e cristallina. La complessità della figurazione simbolica dona alla pittura visionaria dell’artista cremonese un nuovo spessore intellettuale e porta ad un coinvolgimento emotivo dell’osservatore: il grido dell’uomo civile che guarda alla realtà e la denuncia è parte alta del lavoro dell’artista, come testimoniano sia gli antichi maestri che i recenti, da Dürer a Goya a Picasso, solo per citarne qualcuno a caso.

Tiziana Cordani